Un serbatoio di indeterminazione

indeterminazioneIl progresso del sistema nervoso si è realizzato, contemporaneamente, nella direzione di un adattamento più preciso dei movimenti e in quella di una più ampia libertà di scelta fra di essi lasciata all’essere vivente. Queste due tendenze possono apparire antagoniste, e in effetti lo sono. […] Dalla più umile monera agli insetti meglio dotati, fino ai vertebrati più intelligenti, il progresso realizzato è stato soprattutto un progresso del sistema nervoso con tutte le creazioni e le complicazioni strutturali che, a ogni grado, questo progresso esigeva. […] Il compito della vita è introdurre indeterminazione nella materia. Indeterminate, cioè imprevedibili, sono le forme che essa crea mano a mano che evolve. Sempre più indeterminata, cioè sempre più libera, è anche l’attività a cui queste forme devono servire da veicolo. Un sistema nervoso con dei neuroni connessi in modo tale che all’estremità di ognuno di essi si apra una molteplicità di strade, in cui si pongano altrettante domande, è un vero e proprio serbatoio di indeterminazione.

H. Bergson, L’evoluzione creatrice, Rizzoli, Milano (2012)

Il cielo stellato

van_gogh_notte_stellata(1)Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme ai fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito.

I. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, Bari (1974)